La riserva di programmazione pubblica dei servizi e delle risorse finanziarie: alcune considerazioni emergenti dall’affermazione del c.d. diritto all’affettività dei detenuti
di Emanuele Comi
La sentenza n. 10/2024 della Corte costituzionale, così come è stata applicata dalla giurisprudenza della Cassazione e della magistratura di sorveglianza, ha comportato non solo l’emersione di un “diritto all’affettività”, ma anche l’affermazione di un obbligo di prestazione (specifica e dettagliata) della cui erogazione è stata onerata l’Amministrazione penitenziaria. Di fronte alla perdurante inerzia del legislatore, alle varie strutture detentive viene, così, imposto (meglio, ordinato) di esaudire le richieste di «colloqui intimi» entro termini perentori, senza alcuna considerazione della situazione organizzativa. Se il riconoscimento di tale diritto è stato salutato con soddisfazione dalla dottrina che si occupa della condizione carceraria, non può non rilevarsi che la soluzione applicativa cui è arrivata la giurisprudenza di merito stravolge la programmazione pubblica dei servizi e delle risorse finanziarie, ledendo la riserva di amministrazione e il principio di programmazione pubblica. Lo strumento programmatorio, tuttavia, è l’unico che è in grado di garantire una ponderata soddisfazione nell’erogazione di tutte le componenti del trattamento penitenziario e rieducativo, in condizioni di effettiva eguaglianza e parità tra i fruitori.