editoriale
Problematiche costituzionali dell’omicidio politico
di Matteo Carrer
Recenti avvenimenti di cronaca hanno riportato l’attenzione sul tema dell’omicidio politico, cioè sulla possibilità di utilizzare la violenza per eliminare personaggi politici, siano essi titolari di una carica pubblica o (possibili) futuri detentori di una carica pubblica.
La Storia abbonda di esempi in tal senso: Giulio Cesare ne è esempio celebre; ma anche Gustavo III re di Svezia che ispirò il libretto del Ballo in maschera di Verdi; Francesco Ferdinando d’Asburgo, la cui morte fu il casus belli della prima guerra mondiale; John Fitzgerald Kennedy, l’ultimo (ma non il primo) Presidente degli Stati Uniti ucciso mentre era in carica. Anche nell’Italia unita, tralasciando la storia degli Stati preunitari, si annovera un Capo di Stato ucciso violentemente: Umberto I di Savoia, nel 1900. Non ne è esente nemmeno la Chiesa cattolica, come dimostra da ultimo l’attentato alla vita del papa San Giovanni Paolo II, nel 1981.
Del resto, davanti ai fatti non è facile opporre considerazioni: è giocoforza ammettere che l’eliminazione fisica di personalità politiche è uno strumento più volte utilizzato nella storia delle istituzioni.
Da questa considerazione fattuale possono far seguito considerazioni più di dettaglio dal punto di vista non solo politico o storico, bensì costituzionale. Gestire la competizione elettorale o persino il potere in quanto tale con l’assassinio è un problema di diritto costituzionale, peraltro di non facilissima soluzione.